(PARTE 2) Chi è il ghoster, ovvero colui che sparisce? Nella prima parte dell’articolo una ipotesi che suggerivo era quella che la persona che lascia improvvisamente non sia emotivamente in grado di reggere la chiusura della relazione o non sopporti il dolore inferto ed il relativo peso della colpa. Probabilmente in apparenza la relazione stava funzionando abbastanza bene mentre all’interno il ghoster stava maturando la consapevolezza che qualcosa non stava andando o che l’impegno era troppo da reggere o che i tempi non erano maturi. E dunque scappare rappresenta una soluzione pratica e apparentemente meno dolorosa.
In verità, nella maggior parte dei casi, il ghoster non è granché consapevole di ciò che accade o di cosa prova; magari brucia le tappe iniziali vivendo a pieno la storia d’amore perché sente l’urgenza di avere qualcuno accanto o perché fortemente attratto da quella persona, ma poi una spinta irrefrenabile lo porta a chiudere il rapporto perché non sostiene le richieste emotive e i bisogni dell’altro. Può aver avuto una assenza genitoriale o una perdita irreparabile o un modello familiare non positivo, di tradimento. Questa spinta alla chiusura è carica di incostanza, rifiuto o poco amore che ad un tratto viene fatto “pagare” al malcapitato di turno come espressione manifesta di malessere e vulnerabilità. Il ghoster può anche attuare un gioco di punizione per esternare il suo stato chiudendo e riaprendo la relazione intervallata da lunghi silenzi quasi fosse una richiesta di aiuto. Per non sentire più dentro di sé quanto sia stato abbandonato o criticato in tempi precedenti critica e abbandona per primo.
Dopo la sua scomparsa il ghoster continua la vita di prima cercando di non provare emozioni o fingendo che nulla sia successo ma nella realtà ha abbandonato dietro di se una vittima, un po’ come durante un incidente automobilistico in cui il pirata della strada evita il soccorso e lascia la persona a terra.
Il ghoster sa bene che far percepire la propria mancanza è la sensazione più forte che si possa far provocare, funge da elastico se l’altro soffre per la perdita affettiva; è un gioco di affermazione del suo potere: più si allontana e più viene disperatamente desiderato. Il suo comportamento denota mancanza di empatia, immaturità, egocentrismo, difficoltà comunicative o fragilità.
Nello stand-by il partner viene messo da parte, silenziato, vengono sospesi i contatti, viene bloccato sui social ma il ghoster ricompare e poi scompare più e più volte. Questa modalità caratterizza la natura della relazione stessa.
Questo rapporto ed il partner sono una specie di test, ogni volta viene alzato il tiro, di modo che il riavvicinamento ha un sapore più forte e la carica emotiva è elevata. In certi casi chi lo attua si giustifica cosi: “io lo faccio solo per il tuo bene, così comprendi che mi hai ferito, che devi riconquistarti la mia fiducia, che la tua insicurezza o certi tuoi comportamenti non mi piacciono, che stando con te provo qualcosa di talmente forte da star male e per salvarmi devo allontanarmi”, oppure con “lo faccio perché altrimenti vedresti i miei lati peggiori e quindi è una fortuna per te che mi allontani, ma poi torno perché tu vali molto per me” o “siamo diversi e non sono convinto/a che funzionerebbe tra noi alla lunga ma ciò che sento in certi momenti è qualcosa di fortissimo, attrazione senza limiti che non posso controllare e perciò ti rivoglio”.
La prima volta che veniamo sottoposti a un silenzio o un distacco e lo accettiamo, il partner sa che potrà rifarlo ancora e ancora. Noi abbiamo già perso.