Lo yoga: un concetto astratto che può essere compreso solo con l’esperienza

Ma lo yoga, che cos’è? Ve lo siete mai chiesto? Innanzitutto è bene sottolineare che si tratta di qualcosa difficile spiegare in poche parole, un concetto astratto che può essere conosciuto, in verità ,solo attraverso l’esperienza diretta. Proviamo dunque a capire cos’è lo Yoga.

Ora parliamo di Yoga > Atha yoganusasanam
I (pada, capitolo) 1 (sutra, aforisma).

Lo Yoga è la cessazione degli stati mutevoli della mente > Yogas citta-vrtti-nirodhah
I (pada, capitolo) 2 (sutra, aforisma).
È cosí che Patanjiali, saggio e filosofo indiano vissuto nel II secolo a.C. comincia il suo trattato sullo Yoga “Gli yoga sutra di Patanjali” , 195 sutra divisi in 4 pada che descrivono, passo per passo, come raggiungere la liberazione della sofferenza, lo stato di Samadhi. All’inizio del trattato, nel secondo sutra, Patanjali ha in pratica definito e riassunto l’intero sistema Yoga.

Facciamo però un piccolo passo indietro e vediamo quali sono le origini di questa disciplina. Le origini dello Yoga non sono chiarissime, alcuni studiosi le tracciano nello sciamanesimo dell’età della pietra ,nella Valle del fiume Indo (odierno Pakistan), dove sono state ritrovate delle tavole risalenti al 5000 a.C. sulle quali sono presenti delle incisioni di figure umane in quella che oggi definiamo una posizione meditativa. Tuttavia le prime fonti documentate si attribuiscono a un insieme di testi religiosi e filosofici indiani, in lingua sanscrita, chiamati Upanisad (a partire dal IX-VIII secolo a.C. fino al IV secolo a.C ). Le Upanishad insegnano il sacrificio dell’ego attraverso la conoscenza di sé, l’azione e la saggezza.

Ma è solo attraverso i sutra di Patanjali che cominciamo ad avere delle nozioni specifiche. Tutte le conoscenze e le tecniche erano infatti prima tramandate verbalmente. “Gli yoga sutra di Patanjali“, peraltro, non sono “di parte” e non danno priorità a una divinità specifica, né promuovono un tipo particolare di devozione, come accade in molti scritti induisti, inclusa, tra le Upanishad più famose, la Bhagavad Gita: composta intorno al 500 a.C., è il testo che insieme agli yoga sutra ha ricevuto maggiore attenzione ed interesse fuori dall’India.

Nel sesto capitolo della Bhagavad Gita, ultima parte del grande poema epico Mahabharata, Sri Krishna spiega ad Arjurna il vero significato dello yoga, definendolo così: «Quando la mente, l’intelletto, e l’io sono sotto controllo, liberi da desideri e stabiliti nello spirito, allora l’uomo diventa uno Yukta (uomo in comunione con Dio). Una lampada non tremola quando non soffiano venti; così per uno yogi, che controlla la sua mente, il suo intelletto e il suo io, assorto nello spirito che è in lui. Quando la pratica dello yoga placa l’agitazione della mente, dell’intelletto, e dell’io, lo yogi, con la grazia dello spirito in lui, trova completo appagamento. Così conosce l’eterna gioia, che è al di là del confine dei sensi e che la ragione non può afferrare. Rimane in questa realtà e non si allontana da essa. Ha trovato il suo tesoro al di sopra di tutti gli altri. Non vi è niente di più alto di tutto ciò. Colui che lo ha capito non può essere toccato dalle sventure più grandi. Questo è il vero significato dello yoga: una liberazione dal dolore e dalla sventura».

Ecco allora che sorge spontanea una domanda: Cos’è questa ricercata “liberazione”?
Dalla radice sanscrita “Yug” che significa “unire, legare assieme” la parola Yoga è stata comunemente tradotta come “unione con il divino”. Nel pensiero indiano tutto è permeato dallo spirito cosmico o coscienza universale (Brahman) di cui lo spirito umano o coscienza individiuale (Atman) è una parte. Definiamo quindi librazione l’unione del “divino universale” con il “divino personale”, lo Yoga è ciò che insegna i mezzi con i quali raggiungerlo. Per capire meglio questo concetto supponiamo che il mare sia Brahman che è formato da tante piccole gocce (Atman). Se preleviamo un po’ d’acqua dal mare e la mettiamo in un bicchiere, le qualità chimiche dell’acqua non cambieranno. Rimarrà acqua di mare. Il percorso yogico ci porta a riconoscere che non c’è differenza.

Quando questo è avvenuto, il vedente risiede nella sua vera natura > Tada drastuh svarupe ‘vasthanam
I (pada, capitolo) 3 (sutra, aforisma).
Ovvero quando riusciamo a disciplinare la mente, quando fermiamo il suo brusio, la sua attività è allora che raggiungiamo lo stato di liberazione (Samadhi), è allora che riconosciamo la nostra vera natura immortale. Per rendere più comprensibile il concetto associamo questo “brusio mentale” alla polvere che ricopre uno specchio. Una volta ripulita la polvere ecco che l’immagine riflessa si fa più chiara, nitida. La storia dello Yoga è strettamente legata a quella della tradizione Samkhya (che precede la filosofia Vedanta) e fornisce la base metafisica allo Yoga, è quindi indispensabile per la sua comprensione.

L’antica filosofia Samkhya è dualistica, in quanto la realtà ultima è concepita in modo da contenere due distinti principi supremi: Purusha, il sè conscio più profondo, pura consapevolezza, a grandi linee sinonimo della nostra anima, e Prakrti, il mondo materiale con tutte le sue manifestazioni, l’universo fisico entro il quale il Purusha è immerso. Il Samkhya e lo Yoga condividono la stessa metafisica e l’obiettivo comune di liberare Purusha dalla sua prigione, ma i metodi sono diversi. «Il Samkhya si concentra sul percorso razionale per arrivare alla liberazione, in particolare per quanto concerne l’analisi dei molteplici ingredienti di Prakrti dai quali Purusha deve essere liberato, mentre lo Yoga costituisce un percorso meditativo, focalizzandosi sulla natura della mente e della coscienza, e sulle tecniche di concentrazione, per fornire un metodo pratico attraverso il quale Purusha possa emergere e distinguersi», spiega Bryant nella sua versione di Gli yoga sutra di Patanjali.

La mente è una sostanza fisica per il pensiero induista e assume le forme dei dati sensoriali che le vengono presentati. Le impressioni sensoriali che nascono, pensieri o stati, sono prodotti fatti di quella sostanza mentale. Queste immagini mentali, stati che si muovono in continuazione sono i Vrtti, il continuo movimento dei pensieri. «Poiché tutte le forme mentali sono prodotte da Prakrti, la materia, e completamente distinte dall’anima o vero sé, Purusha, devono essere contenute affinché l’anima possa essere realizzata dallo yogi come entità autonoma distinta dalla mente», continua Bryant.

Uno degli obiettivi dello yoga è che la mente sviluppi tale discriminazione e rifletta la vera immagine dell’anima a se stessa. Quello che in Occidente associamo allo Yoga sono le posture, ma gli asana sono solo uno degli 8 stadi di questa disciplina millenaria che ci conducono alla liberazione. I giusti mezzi, infatti, sono importanti quanto il fine. Patanjali enumera tali mezzi come gli 8 arti o stadi dello yoga nella ricerca dell’anima. Nel prossimo articolo cercheremo di scoprirli e comprenderli.

Fra i testi di riferimento per realizzare questo articolo si segnala anche: Teoria e pratica dello yoga di B.K.S. Iyengar.

di Alizia Murador
insegnante di Iyengar® yoga

crediti immagine: Barbara Rovere

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