Gli 8 rami dello yoga

Secondo uno dei testi classici dello yoga “Gli yoga sutra di Patanjali” lo yoga è definito come l’assenza della fluttuazione dei pensieri. Per riuscire a realizzarlo il saggio Patanjali descrive un percorso di 8 stadi (“ashta” = otto, “anga” = rami, membra) tra loro connessi. In proposito, c’è anche un bellissimo libro che consiglio a chiunque voglia andare un po’ oltre il tappetino e approfondire questa splendida disciplina: “L’albero dello yoga” di B.K.S. Iyengar. Fra le pagine di questo volume il Maestro Iyengar sceglie di utilizzare una bellissima metafora (che trovo non solo molto azzeccata ma anche quasi poetica) per spiegare gli otto anga, come li definisce Patanjali negli Yoga sutra: quella dell’albero. Gli otto stadi (anga), diventano quindi le radici, Yama (astensioni, o vincoli morali); il tronco, Nyama (prescrizioni, osservanze); i rami, Asana (posizioni, posture); le foglie, Pranayama (controllo del respiro); la corteccia, Pratyahara (ritiro dei sensi); la linfa vitale, Dharana (concentrazione); il fiore, Dhyana (meditazione); il frutto, Samadhi (assorbimento).

YAMA – Paragonati alle radici, perché sono la base dalla quale si sviluppa tutto il resto, gli Yama ci insegnano a rapportarci con l’esterno, con ciò che non è noi, e sono applicabili in senso amplio su molti aspetti della vita. Il primo, il più importante, Ahimsa, è la non violenza, intesa non solo nei confronti dei simili, ma verso qualsiasi forma vivente. Questo è anche uno dei motivi per cui gli yogi seguono una dieta vegetariana. Satya la sincerità, l’onestà, la trasparenza. Asteya il non rubare, non appropriarsi in modo indebito di qualcosa. Brahmacharya il controllo del godimento sessuale. Aparigraha assenza di avidità. Una serie di regole che ci permettono di relazionarci in modo rispettoso gli uni con gli altri.

NYAMA – Le Nyama, come rapportarsi verso noi stessi, vengono paragonate al tronco perché sostengono e preparano allo sviluppo dei seguenti anga. Saucha, la pulizia. Santosha, la contentezza, l’appagamento. Tapas tradotto come austerità, ma si esprime meglio come desiderio ardente” nella pratica. Svadhyaya, Sva significa Io, Adhyaya significa studio, si traduce con lo studio dell’Io ovvero lo studio che porta alla conoscenza del Sé. Isvara-pranidhana ha a che vedere con l’essere devoti, celebrare il divino (pra=pienezza, ni=sotto, dhana=collocazione, Isvara=immagine di Dio). Tutte queste indicazioni ci guidano a prenderci cura di noi stessi.

ASANA – Le posture (gli Asana) assunte dal corpo durante la pratica vengono paragonate da B.K.S Iyengar ai rami dell’albero: «Asana significa postura ed è l’arte di disporre l’intero corpo con un atteggiamento fisico, mentale e spirituale». E ancora commenta: «Nell’assumere una postura dovete scoprire se il vostro corpo ha accettato la sfida della mente o se la mente ha accettato la sfida del corpo» (pg.57, L’albero dello yoga di B.K.S. Iyengar). Questo fa capire come lavorare consapevolmente sul corpo sia strettamente collegato alla mente.

PRANAYAMA – Il Pranayama è il controllo del respiro. Prana è energia Ayama è il flusso, la distribuzione, il nutrimento l’espansione. Come le foglie riforniscono di ossigeno l’albero, assicurando una crescita sana, allo stesso modo il corpo umano è ossigenato nella sua interezza grazie al respiro, considerato dagli yogi il mezzo più importante per accumulare energia. Si dice che la durata della vita di uno yogi sia calcolata in base al numero di respiri, e che l’uomo si incarni sulla terra con un numero di respiri già predeterminato. Il respiro è strettamente collegato al sistema nervoso, una buona padronanza delle tecniche di respiro sono un potente mezzo per imparare a controllare la mente.

PRATYAHARA – Pratyahara paragonato alla corteccia è tradotto solitamente come “ritiro dei sensi”. Si intende il portare l’attenzione all’interno nello spazio di infinito silenzio dove dimora il Sé. Tutto ciò che è fuori perde di importanza. I cinque sensi sono il mezzo per cui la nostra mente acquisisce informazioni dal mondo che ci circonda. B.K.S. Iyengar dice: «Non appena la mente si placa, l’io riposa nella sua dimora e la mente svanisce» (p. 62, L’albero dello yoga di B.K.S. Iyengar). Distogliere l’attenzione dagli stimoli esterni e aprirsi ad un profondo ascolto interno è il succo di questo anga.

DHARANA – Dharana è la concentrazione, l’attenzione assoluta. È il succo che scorre all’interno dell’albero dalla radice fino alla punta dei rami, la linfa vitale. Totale concentrazione. In questo stato avviene una concentrazione univoca, sull’oggetto della meditazione, la mente non divaga altrove.

DHYANA – Dhyana, il fiore. Questo stadio permette di creare una connessione tra l’oggetto della meditazione e il meditante. Uno stato di concentrazione molto profonda dove ci si immedesima nell’oggetto della meditazione.

SAMADHI – Samadhi, il frutto. B.K.S. Iyengar scrive: «Sama significa equilibrio, armonia. Il Samadhi si raggiunge quando l’anima, che è l’essenza dell’esistenza, si diffonde armonicamente ovunque». E continua: «Nel Samadhi si è pienamente consapevoli, e la consapevolezza si diffonde ovunque, attraverso tutti gli strati del corpo in tutte le sue parti. Samadhi è il momento in cui l’anima pervade la più piccola parte del corpo. Come l’essenza dell’albero è celata nel seme, così l’essenza dell’albero-uomo è nascosta nel seme dell’anima (pp. 71 e 72, L’albero dello yoga di B.K.S. Iyengar). Per questo, l’albero dello yoga, yoga-vrksa, ci porta con la sua pratica attraverso i vari strati del nostro essere, fino a farci vivere e provare l’ambrosia del suo frutto, che consiste nella visione dell’anima» (p. 75, L’albero dello yoga di B.K.S. Iyengar). Questo si intende per assorbimento: la fusione totale tra l’oggetto della meditazione e il meditante. Il meditante non si riconosce più nell’atto del meditare, è un tutt’uno con il tutto, in completa fusione. L’“anima” singola si fonde con l’“anima universale”. É detta anche liberazione perché come spiegato all’inizio, è la mente (parte di Prakrti, realtá impermanente) a riconoscere una separazione, ma ecco che fermando il suo laborìo, il fondersi diventa possibile, proprio come alcune gocce di oceano hanno la stessa composizione dell’oceano stesso.

Tutti gli anga sono indispensabili, interagiscono e si completano per formare quello che è il corpo integro e totale dello Yoga. Concludendo: i giusti mezzi sono importanti quanto il fine.

di Alizia Murador
insegnante di Iyengar® yoga

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